Pranopratica
Accolgo le persone nel mio studio a Concorezzo, le faccio accomodare sul lettino, sentire a proprio agio, rilassare e appongo le mani su tutto il corpo ed eventualmente sulle zone bisognose di essere riequilibrate: il calore invade tutta la vostra persona, vi sentirete in armonia con voi stessi, rilassati e percepirete uno stato di completo benessere. Ci accompagna una musica di sottofondo rilassante. Questi trattamenti olistici coinvolgono la parte più intima e profonda di noi stessi, concorrono al cambiamento interiore, stimolano i processi di autoguarigione, portano al rilassamento, al riequilibrio di mente e corpo e all’armonizzazione, ridonano vitalità e sono adatti sia a bambini che ad animali. Basta provare per sperimentare.
“Profilo dell’Operatore
L’Operatore in D.B.N. Pranopratico è colui che, sulla base di un’articolata conoscenza delle funzionalità bioelettromagnetiche dell’organismo, delle leggi dell’omeostasi bioenergetica e dell’interazione di campo fra esseri umani come vengono intese dalle grandi tradizioni orientali, opera attraverso l’apposizione delle mani, sia a piccola distanza sia a contatto superficiale su specifiche zone del corpo e con tecniche codificate secondo la scuola di riferimento, per stimolare la vitalità dell’individuo e mantenerne e rafforzare l’equilibrio energetico.
Inoltre educa a stili di vita salubri e a una maggiore consapevolezza di comportamenti rispettosi dell’ambiente naturale”.
Estratto da “Catalogo dell’Offerta Formativa delle Discipline Bio Naturali” edizione 2017 a cura del Comitato Tecnico Scientifico delle Discipline Bio Naturali di Regione Lombardia.
Cos’è la pranopratica, la sua storia e altre informazioni utili
La pranopratica è una tecnica olistica per cui attraverso l’apposizione delle mani va ad interagire con il campo elettromagnetico dell’altra persona e a dargli un input modificandolo e creando l’autoguarigione.
La storia della pranopratica
L’idea che l’uomo sia composto da una specie di corpo immateriale che spesso viene definito il suo “doppio etereo” è antichissima. In merito alla sua origine esistono due tipi di teorie. Una afferma che l’uomo primitivo giungesse gradualmente a questo concetto, vedendo la propria immagine riflettersi nell’acqua e la propria ombra proiettarsi sul terreno; due apparizioni che riteneva di sua appartenenza, ma che non facevano parte integrante della sua persona. Inoltre, bisogna considerare che l’incontrare nei sogni persone vive e vegete, che si ritenevano invece morte e sepolte, potrebbe aver fatto scaturire l’idea che si trattasse di un “doppio” dell’individuo evidentemente non scomparso insieme al corpo, ma avente una vita propria. La seconda teoria sostiene una possibilità ricettiva per determinati moduli di irradiazione fisica lungo canali paranormali.
Siamo a conoscenza che le popolazioni primitive spesso possiedono maggiori facoltà paranormali dei popoli civilizzati. In molte culture e presso varie minoranze etniche, non civilizzate, emerge il concetto che questo “doppio” sia una forma di energia dispensatrice di vita, strettamente legata alla potenza sessuale, ma anche una forza spirituale. Si suppone che i popoli primitivi conoscevano per istinto come utilizzare questa energia. In epoche remote, quando gli uomini si riunivano in comunità e cominciarono a crearsi le immagini delle forze che sfuggivano alla loro comprensione (come una specie di fenomeni naturali), nacque l’idea delle potenze “sovrannaturali” cioè dei, demoni e simili che, all’inizio, vennero identificate nell’ambiente circostante, in qualità di monti, fiumi, sacri “animali totem”,ecc, e poi nel firmamento (che, alla fine, dette origine all’astrologia”). L’uomo primitivo, che con superbia si metteva alla pari di queste potenze, chiese l’aiuto degli stregoni tribali e in seguito si rivolse alla “sapienza” dei sacerdoti. Questi rappresentavano probabilmente i membri più astuti della comunità, che, dopo avere scoperto particolari principi dei fenomeni naturali, li usavano abilmente per dimostrare agli altri la loro capacità di influire su quelle forze sconosciute.
A testimonianza dell’esistenza di una forza vitale, i dati sicuri che possediamo risalgono al papiro Ebers (circa 1500 a. C.). In quest’ultimo emerge che gli antichi Egizi erano a conoscenza già di una determinata forza vitale, da loro definita “Ka”. Questa concezione, nonostante che nei tempi antichissimi fosse associato esclusivamente con la potenza sessuale, fu rapidamente ampliata ed approfondita, sino a comprendere una forza generale, spirituale e fisica insieme. Il geroglifico utilizzato per indicare il “ka”, consiste in due mani alzate che potrebbero indicare un gesto di difesa contro una potenza malvagia, per esempio disequilibri che si pensavano derivassero da forze maligne. L’origine del “ka”, secondo l’antica filosofia egizia, coincideva con quella dell’uomo. Il “ka”, quindi, lo accompagnava per tutta la vita come un invisibile sosia. Se l’uomo moriva, il “ka” ne abbandonava l’involucro terreno, per ritornare alla sua sorgente divina.
Anche gli antichi mistici Indiani erano a conoscenza di una specie di forza vitale a cui attribuirono il nome di “kundalini”. Loro affermavano che questa forza doveva percorrere tutto il corpo, a modo di ordito, tramite un invisibile sistema di condotti convergenti, in determinati punti di collegamento con la struttura fisica. Questi punti non ancora fisiologicamente individuati, erano detti “chakra” (ruote). Il fulcro della forza sarebbe collocato nella “muladhara chakra” alla fine della spina dorsale vicino al coccige, somigliante ad un serpente arrotolato. Questo potrebbe essere risvegliato per mezzo di specifici esercizi stimolanti le “chakra”, specialmente se iniziati con una particolare di esse, detta la “svadhistana chakra” che è situata al centro degli organi sessuali. Nello yoga tantrico, si sostiene che questa forza sia generata da due poli: “Shiva”, cioè il polo “maschile” e “Shakti”, il polo “femminile”. Il kundalini si risveglierebbe esclusivamente dalla fusione di questi due poli in un unico insieme. Nella “setta della mano sinistra”, questo avviene tramite il contatto sessuale effettivo e rituale. Nella “setta della mano destra” il principio nella sua totalità è solamente simbolico. Tutte e due le sette considerano il risveglio del Kundalini solamente come mezzo per raggiungere la guarigione dalle malattie: per il gruppo della mano sinistra, tramite la pratica magica, e per quello della mano destra, mediante un indirizzo più spirituale. Le denominazioni “mano sinistra” e “mano destra” non hanno nulla a che vedere con le mani stesse e stanno ad indicare solo il lato dove si trova il partner femminile, rispetto a uno specifico orientamento. Durante il rituale, però è straordinario, che nel rito tantrico di entrambe le sette si trovi un esercizio essenziale, durante il quale i due partner, che si posizionano uno di fronte all’altro seduti, si premono a vicenda il palmo delle mani, come metodo di trasmissione del Kundalini.
Oltre agli antichi mistici Indiani, anche la filosofia tibetana è a conoscenza di questa energia bipolare, definita “Yab-Yum”, che molto spesso viene raffigurata come una divinità seduta nella posizione del loto, con in grembo la divinità femminile, in unione sessuale.
Nel Pan- Amrita- Yoga è presente una combinazione delle concezioni tantriche di tutte e due le sette. Nello stesso è descritto un metodo di unione sessuale che permette, senza raggiungere l’orgasmo di risvegliare la forza vitale (sessuale) e di sentirsi in questo modo sani e felici. Oggigiorno, questo metodo viene proposto anche dal movimento Mazdaznan, chiamato “Karezza”. Esistono, però, delle scuole di Yoga che predicano un’assoluta continenza sessuale nel pensiero, nelle parole e nelle azioni, come metodo migliore per risvegliare il kundalini.
Inoltre, anche nell’antica Cina era conosciuto il concetto di una forza vitale bipolare. Il principio “Yin – Yang”, in origine derivato dal Taoismo, ha trovato la sua migliore elaborazione nel Confucianesimo (dottrina che deriva dalla filosofia di Kung Fu-Tze – 550/480 a.C.). Il fondamento del principio taoistico “Yin – Yang” consiste nella credenza che originariamente esistesse una grande cellula piena di “ch’i”, cioè l’energia vitale”, che veniva attivata da una forza pulsante, chiamata Tao. Quindi, la cellula si schiudeva in due parti complementari (perfettamente integratisi l’una con l’altra), delle quali Yang era il principio maschile e Yin quello femminile. In un periodo del tardo Taoismo si riteneva di risvegliare l’energia Ch’i, a scopo magico, utilizzando tecniche sessuali. L’antica arte cinese dell’agopuntura afferma che nel corpo corrono dei “canali”, detti “meridiani”, colmi di Ch’i. Questi ultimi diventano epidermici e si possono visualizzare sulla pelle in “punti” particolari. Visto che ogni meridiano ha il suo determinato campo di azione, è possibile attivare l’energia Ch’i lavorando sui “punti stessi” attraverso pressioni, massaggi e punture d’ago, allo scopo di migliorare l’efficienza dei corrispondenti organi interessati e guarire così le affezioni.
Pure gli antichi Persiani erano a conoscenza del principio dualistico, quello della “Luce” e delle “Tenebre”, forze occulte in perenne lotta tra loro per il potere supremo, cioè il potere del “bene” e del “male”. Attraverso la mitologia greca, la concezione venne, alla fine accettata, dalla religione cristiana nelle concezioni di “angeli custodi” e “demoni”.
E’ certo che fino al XVII secolo fosse presente il concetto che l’assenza di questo “doppio” incorporeo, o “anima” come veniva definita, fosse causa di malattia e poi di morte. Quest’ultima, però, poteva essere proiettata anche fuori dal corpo, per cui si era in grado di percepire avvenimenti estranei, sia nello spazio che nel tempo. Queste diverse visioni, cioè percezioni telepatiche e chiaroveggenze, vengono spesso richiamate nella Bibbia. Nel XVI e nel XVII secolo si manifestò la credenza che l’anima era in grado a volte di nuocere, altrove e al di fuori del corpo che la conteneva, e lo stesso corpo poteva permettergli l’uscita. La conseguenza di questa concezione era quella di condurre al rogo molte innocenti, definite streghe.
Nell’arte questo “doppio” viene raffigurato sotto diversi profili. Gli antichi Egizi credevano nell’esistenza di diverse parti fisiche, ma invisibili, dell’essere umano, che però erano rappresentate spesso in forma visibile nelle iscrizioni. Spesso indicavano una forza invisibile come un”alone” (irradiazione), attorno alla testa di un personaggio importante. Con il termine “alone” si definisce un “cerchio di luce”: se esso attornia solo il capo oggi si chiama “nimbo”, se circonda tutto il corpo allora si chiama “aureola”. Inoltre, le divinità indù erano raffigurate con un “alone”. Questo tipo di figurazione venne anche utilizzato dai Greci e dai Romani e dai fondatori della setta Sikh. L’arte islamica circondava sovente di fiamme la testa dei sovrani musulmani, simboleggiando l’esistenza di un “doppio” e anche la divinità assumeva spesso l’aspetto di una grande fiamma, visto che il musulmano non poteva attribuire forma umana alla divinità. Nell’arte egiziana, nel periodo che va dal V al XVI secolo, si trovano spesso i capi e i corpi dei santi avvolti in una “gloria”, cioè luce raggiante.
La giusta disposizione psichica che deve avere sia l’operatore che il ricevente
Consideriamo l’operatore
Ogni metodo relativo alle condizioni spirituali che bisogna avere per poter sprigionare la forza vitale, sottende l’acquisizione, da parte dell’individuo di uno stato di beatitudine che viene denominato “sublimitudine” o secondo la scienza “esperienza di punta”. Si parla anche di “trascendenza” o coscienza alterata. A questo stato si giunge con:
- l’annullamento dei limiti del proprio “io”: noi essendo esseri umani siamo limitati da ogni cosa, per esempio: le nostre facoltà, la nostra predisposizione ereditaria, l’ambiente in cui siamo cresciuti e in cui viviamo, la nostra posizione sociale,ecc. Ogni giorno la vita ci impone una continua e dolorosa riconferma di questi nostri limiti, che vengono chiamati i limiti dell’ “io”. Essi riguardano, solo il nostro corpo mortale e non il nostro “doppio”. Occorre riconoscere che il nostro “io” quotidiano, con le nostre imperfezioni, non è la nostra vera essenza. Per togliere i limiti dell’ “io”dobbiamo: giungere ad una Conoscenza veramente più ampia, elaborando ciò che abbiamo compreso per ottenere un’immagine di vita che ci sarà preziosa e anche tener presente che la Conoscenza consiste in una forma apparente che noi stessi adottiamo come vera, perché ci permette di accettare serenamente la vita. Non dobbiamo allo stesso tempo costringere gli altri ad accettare la nostra Conoscenza come “l’unica autentica verità”. In questo modo avremo la coscienza di aver imparato ad “essere superiori alle cose materiali”.
- il sentimento di Amore Universale. La parola Amore a cui ci riferiamo, non è quella relativa ad un linguaggio comune, ma si differenzia perché non “possiede” ed è rivolto sia ad una sola persona che a tutto ciò che vive, fino al Tutto della creazione, comprendente l’immagine divina. E’ un amore che accetta sia il prossimo che il Tutto, senza pretendere di adattarli al nostro desiderio personale. Inoltre, questo termine esprime la capacità di essere felici con ciò che abbiamo, avendo però la libertà di migliorarsi. Bisogna aggiungere anche che questo termine è privo di combattività negativa ed è caratterizzato dalla migliore predisposizione verso il prossimo. Ogni persona costruirà con l’altra una sorta di bi-unità di pari valore. Quindi solo offrendo e accettando “Amore” saremo in grado di arrivare ad “un mondo migliore”, che tutti sperano.
- sperimentazione della “conoscenza”. La parola “Conoscenza” sta a significare la comprensione degli effettivi valori della vita che non tengono conto dei fattori materiali. La vera “Conoscenza” è basata di solito, su cognizioni ben elaborate, ma non necessariamente comprese. Capiamo soltanto quale sia la strada che porta alla liberazione dell’ “io”. Invece, con il termine sperimentazione della “Conoscenza” indichiamo la comprensione del vero “Amore”.
Tutto quello che è stato finora descritto non deve dare la sensazione che, per essere in grado di suscitare la forza vitale, dovremmo diventare una specie di quasi – santi. Ognuno di noi deve aspirare a conseguire una consapevolezza sempre adattabile, anche se pochi la raggiungono. Un segno che ci indica che si è sulla buona strada è quando si ha il vero desiderio di aiutare qualcuno, senza interesse personale.
Consideriamo il ricevente
La cosa principale è che il ricevente deve avere la voglia di essere stimolato.
Ci deve essere la mutua collaborazione tra operatore e ricevente in modo che i trattamenti vitalistici abbiano successo. Tra loro due deve crearsi una bi-unità, la dedizione dell’uno all’altro, basata sulla fiducia reciproca. Solo così sarà possibile raggiungere l’effetto ottimale del metodo in questione.
Estratto da:
- “Paranormale e Pranoterapia La Saggezza del Mistero” di Liliano Frattini ed. Mediterranee ottobre 2001
- “Pranoterapia Guarire con le Mani” di Jack F. Chandhu Ermes Edizioni seconda edizione 1988
- “Guarire con l’energia delle mani equilibrio fisico e Pranoterapia” di Valerio Sanfo ed. RL Gruppo Editoriale s.r.l. marzo 2008